Medicina omeopatica

C. F. Samuel Hahnemann (1755-1843).

 

La medicina omeopatica (da omoios=simile) rappresenta una prospettiva originale rispetto alla scienza ufficiale sul tema universale della sofferenza degli uomini e degli animali, e dei tentativi di alleviarla, fondata nel XVIII secolo da un geniale medico tedesco: C. F. Samuel Hahnemann.

La differenza più manifesta tra questa medicina e quella ufficiale consiste nel fatto che quest’ultima cerca di ottenere un effetto terapeutico attraverso sostanze che si oppongono ai diversi sintomi: anti-piretici per la febbre, anti-infiammatori per l’infiammazione, e così via, e per questo viene definita ‘allopatia’ dagli stessi omeopati (allos=diverso). La medicina omeopatica mira invece a favorire la guarigione utilizzando sostanze il più possibile ‘simili’ – vedremo tra breve in che senso – alla malattia che deve essere curata, in accordo con la ‘legge dei simili’ stabilita da Hahnemann.

La principale differenza tra le due medicine va però individuata nel fine che ciascuna di esse si propone con la terapia. Mentre la medicina tecnico-scientifica mira essenzialmente alla scomparsa dei singoli sintomi, considerati come espressione della ‘rottura’ di una ‘parte’ del meccanismo fisiologico, quella omeopatica li considera invece come espressione di uno squilibrio complessivo dell’individuo, che si manifesta con determinati sintomi, ma che va sempre considerato nella sua completa integrità psicofisica. La terapia va quindi sempre rivolta all’individuo nella sua totalità, e mira a migliorarne il livello complessivo di salute.

Quest’ importante caratteristica da un lato differenzia l’omeopatia dall’attuale medicina ‘ufficiale’, ma dall’altro la accosta ad almeno due capisaldi della scienza medica occidentale: il primo collocato nel passato, ovvero alle sue origini, quando la dottrina ippocratica vedeva nella malattia uno squilibrio o discrasia degli umori che compongono l’individuo; ed il secondo in un futuro sempre più prossimo, in quegli indirizzi che, a partire dai recenti studi sulla cibernetica e la teoria dei sistemi, considerano tutti gli esseri viventi come totalità integrate di parti interconnesse che, come tutti gli altri ‘sistemi aperti’, tendono ad uno stato ottimale di equilibrio stazionario, ovvero di ‘salute’, che si allontana nella malattia, e che l’intervento terapeutico deve mirare a ristabilire.

Hahnemann e la ‘legge dei simili’

Fu dunque S. Hahnemann a fondare, tra la fine del Diciottesimo e l’inizio del Diciannovesimo secolo, la disciplina medica definita ‘omepatia’. Questo medico relativamente giovane, ma con una clientela ben consolidata, era infatti profondamente scontento dei risultati della medicina che praticava, che del resto ai suoi tempi, priva dei ritrovati e dei medicamenti introdotti negli ultimi decenni, era davvero povera di risorse terapeutiche. Un giorno la sua insoddisfazione sfociò addirittura in un gesto clamoroso: si affacciò alla porta del suo studio e, rivolgendosi con decisione ai pazienti che attendevano il loro turno in sala d’attesa, disse loro: ‘Andate via, non sono in grado di curarvi’. Chiuse quindi l’ambulatorio, ed iniziò un periodo di intenso studio e riflessione. Per vivere e mantenere la numerosa famiglia, si dedicò ad articoli e traduzioni. Lesse e studiò molto, e tra gli altri tradusse la Materia Medica di Cullen, nella quale si parlava delle proprietà del chinino (Chincona officinalis), e dei suoi benefici effetti sullo stomaco. Hahnemann stesso aveva però assunto il chinino anni prima, quando aveva contratto la malaria, ed aveva avuto una diversa esperienza. Decise allora di fare una verifica, ripetendone l’assunzione. Dopo qualche tempo si accorse però, con sorpresa, che piccole dosi di chinino ripetute erano in realtà in grado di indurre dei sintomi molto simili a quelli, a lui ben noti, della malattia che questa sostanza era in grado di curare: la malaria.

Quest’importante osservazione rappresentò così uno dei cardini della riflessione che lo avrebbe portato, in breve tempo, ad enunciare quello che sarebbe divenuto il principio fondamentale dell’omeopatia: la ‘legge dei simili’.

Egli pensò quindi di sperimentare l’effetto di altre sostanze, provandole su se stesso e sui suoi familiari. Poiché aveva intenzione di studiare anche l’effetto di sostanze tossiche – l’arsenico fu una delle prime che sperimentò – decise di diluirle sempre più, per attenuarne gli effetti negativi.

Stabilì così la seconda importante regola della medicina omeopatica: l’uso di farmaci a diluizioni estremamente alte, nelle quali la sostanza originaria è presente soltanto in tracce, o è addirittura assente.

Anche se in base alle conoscenze di chimica e biologia del suo tempo – ed in parte anche in base a quelle attuali – queste soluzioni enormemente diluite non avrebbero dovuto produrre nessun effetto, Hahnemann scoprì che esse erano invece in grado di indurre negli sperimentatori dei sintomi, che si dedicò allora a raccogliere e ad annotare scrupolosamente. Si accorse quindi che, se si indagava con attenzione, ci si rendeva conto del fatto che ogni soluzione era in grado di indurre un insieme sintomatologico molto specifico ed articolato, che non si limitava ad un singolo organo o apparato, ma coinvolgeva sempre l’intero organismo, sia a livello fisico che mentale, dell’individuo che la stava sperimentando.

E’ importante precisare che per ‘sintomi’ egli non intendeva soltanto le manifestazioni più evidenti e palesi di una patologia, come si fa abitualmente in ambito medico, ma prendeva in attenta considerazione sia le modalità di aggravamento e miglioramento, ad esempio gli orari e le circostanze concomitanti, anche le più stravaganti, come pure tanti piccoli segni caratteristici, sia patologici che non, che possono facilmente passare inosservati se l’indagine non viene fatta con estrema accuratezza, ma che appaiono estremamente precisi ed articolati se vi si presta la dovuta attenzione.

Per rendersi conto del suo metodo è probabilmente sufficiente leggere la descrizione di almeno alcuni tra le migliaia di ‘sintomi’ da Hahnemann scrupolosamente annotati nella sperimentazione dell’arsenico diluito, rimedio noto in omeopatia come Arsenicum album.
Cito più o meno casualmente dalla sua rassegna:

  • ansia alla sera, dopo essersi sdraiato e dopo mezzanotte, alle ore 3, dopo essersi svegliato;
  • vertigini violente con nausea, da sdraiato; si deve sedere per calmarle;
  • pressione nell’occhio sinistro, come se ci fosse dentro della sabbia;
  • desiderio di aceto e acqua;
  • bisogno frequente di urinare, con flusso abbondante…
  • Desidera più di quello di cui ha bisogno, mangia e beve più di quel che le andrebbe bene; cammina più di quel che sarebbe necessario e utile per lei…

Hahnemann si rese quindi ben presto conto che l’insieme di questi sintomi e segni caratteristici era in grado di tratteggiare un vero e proprio quadro sindromico, molto particolareggiato e specifico di ogni rimedio. Questo doveva dunque essere considerato come la manifestazione esteriore – l’unica accessibile alla nostra osservazione – di un cambiamento che il rimedio era in grado di indurre nella profondità dell’individuo. Questa modifica che coinvolgeva l’organismo psicofisico nella sua totalità non poteva che avvenire a livello di quell’ essenza profonda degli esseri umani, ben nota a medici e filosofi dell’antichità, che la medicina meccanicista non era stata più in grado di riconoscere: egli ridefinì dunque questo principio come forza vitale. Ogni alterazione generale dell’organismo deve essere ricondotta alla perturbazione di questo centro profondo dell’individuo: non solo dunque le malattie ‘artificiali’ indotte dai rimedi diluiti, ma anche e soprattutto quelle presentate spontaneamente dai pazienti. Anche in questi casi, infatti, se si indaga con la dovuta accortezza, è possibile ritrovare, oltre ai sintomi più eclatanti e dolorosi, quelle stesse manifestazioni sottili ed articolate indotte dai farmaci omeopatici negli sperimentatori.

Ecco dunque l’idea fondamentale della medicina omeopatica: gli stessi rimedi che sono in grado di indurre negli sperimentatori i sintomi di una ‘malattia artificiale’ possono guarire quegli individui che presentano ‘spontaneamente’ sintomi simili a questi ultimi. Questa similitudine deve essere ovviamente ricercata nell’intero quadro sindromico del paziente, con particolare attenzione proprio ai sintomi più sottili e caratteristici, dato che la sperimentazione non può mai essere spinta fino alla produzione dei sintomi più eclatanti e penosi, che hanno dunque scarsi riscontri nelle descrizioni delle sindromi ‘artificiali’.

A partire da questi principi era quindi possibile gettare le basi di una nuova ‘arte di guarire’, e difatti nel 1810 Hahnemann espose le sue idee nel testo ancora oggi fondamentale della medicina omeopatica: l’ Organon della scienza medica razionale, che a partire dalla seconda edizione intitolò Organon dell’arte del guarire.

Vediamo ora un po’ più nei dettagli i principali aspetti teorici e pratici di questa nuova medicina.

Una medicina per gli individui e non per le malattie

Per prescrivere il giusto rimedio il medico omeopatico deve individuare quello più ‘simile’ allo stato generale del suo paziente. Egli non può quindi limitarsi ad osservarne la patologia più manifesta, ma deve indagare – dice Hahnemann – la totalità dei sintomi presentati dal paziente, con particolare attenzione a ciò che può essere utile per caratterizzare l’individuo che ha di fronte: e quindi tutti i suoi disturbi, anche i più piccoli, e soprattutto quelli più caratteristici ed inusuali; le abitudini alimentari; il tipo e la qualità del sonno; lo stato mentale; le caratteristiche della personalità, e così via. La medicina omeopatica conosce infatti e si applica ai malati, riconosciuti ciascuno nella sua specificità e peculiarità, e non alle malattie, come siamo abituati a considerarle.

In questo aspetto essa raccoglie dunque a pieno il messaggio originario di una grande tradizione medica occidentale, quello della scuola ippocratica, che aveva insistito sulla necessità da parte del medico di indagare con i suoi sensi le condizioni complessive del paziente, come sancivano le quattro fasi del metodo ippocratico: autopsia, anamesis, diagnosi, prognosi.

Questa cura e questa attenzione alla persona nella sua interezza le consentono anche di svincolarsi da alcune caratteristiche negative che, soprattutto a causa dell’interpretazione meccanicista, hanno successivamente caratterizzato la medicina occidentale.

  • Da un lato, l’omeopatia è evidentemente incompatibile con la specializzazione e la suddivisione dell’individuo in parti separate, la mente da un lato, il corpo frammentato in innumerevoli organi ed apparati dall’altro, una caratteristica che ha reso la medicina tecnico-scientifica inadatta a provvedere ad un vero ri-equilibrio di una persona malata. La medicina omeopatica, come abbiamo visto, si pone invece come obiettivo primario proprio questo ri-equilibrio, dal momento che, come voleva la scuola ippocratica, considera la malattia come la manifestazione esteriore di una disarmonia che, come tale, coinvolge sempre l’intero individuo.
  • Dall’altro lato, ed in maniera strettamente correlata, l’obbligo di considerare l’espressione della sofferenza di un essere umano nella sua globalità consente al medico omeopatico di aggirare anche un secondo importante pregiudizio dell’attuale scienza medica: quello del nonsenso del male. Sappiamo che la malattia per la medicina tecnico-scientifica consiste essenzialmente in un fenomeno privo di un suo senso profondo, dato che rappresenta soltanto la conseguenza della ‘rottura’ di un ‘meccanismo’, macroscopico, molecolare o genetico, che l’arte medica deve sostanzialmente cercare di individuare e di ‘riparare’.

L’indagine omeopatica consente invece di assumere un diverso atteggiamento a questo proposito, soprattutto grazie al fatto che essa è giunta ad individuare, almeno per un buon numero di rimedi, il ‘nucleo profondo’ della sofferenza ad essi corrispondente: ad esempio un dolore morale non espresso, un senso di colpa, di ingiustizia, o altre tematiche che non è eccessivo definire ‘esistenziali’. Ecco dunque che, sia l’attenta considerazione del complesso dei sintomi manifestati dal paziente, che la comprensione empatica del suo stato ‘esistenziale’, possono consentire agli omeopati di risalire, quando la loro indagine ha successo, fino alla ‘causa profonda’ della sofferenza, e dunque ad alleviare il disagio che ad essa consegue, grazie all’informazione contenuta nel rimedio corrispondente.

I ‘sintomi’ della malattia, che rappresentano l’espressione di questo disagio, si attenueranno così fino a scomparire, parallelamente alla rimozione di quest’ultimo.

Si spiega in questo modo come la medicina omeopatica possa riuscire a guarire sintomatologie che la medicina allopatica attribuisce esclusivamente a cause ‘esterne’ all’individuo, ad esempio le malattie infettive, che invece hanno una concausa quasi sempre necessaria in una ‘disposizione’ dell’organismo ad ammalarsi. L’efficacia del’omeopatia, che non agisce sugli agenti esterni ma sulla sola ‘forza vitale’ dell’organismo, conferma a sua volta questo modello patogenetico.

I rimedi omeopatici

I rimedi omeopatici I rimedi omeopaticiI farmaci impiegati in omeopatia a questo scopo possono essere preparati a partire da qualunque sostanza, semplice o composta, esistente in natura: e dunque tutti gli elementi della tavola periodica, sia da soli che sotto forma di sali e composti; tutte le piante medicinali usate in fitoterapia; ma anche vegetali privi di effetti terapeutici, il guscio dell’ostrica, i veleni di ragni e serpenti, in un elenco teoricamente infinito, che viene costantemente ampliato ed arricchito.
Accanto a sostanze che hanno un potere farmacologico conosciuto, come la belladonna, l’ arnica o la digitale, gli omeopati usano dunque sia sostanze prive di efficacia terapeutica, come il nero di seppia, ed altre decisamente tossiche, come l’arsenico. Infatti, come abbiamo già visto, queste sostanze non vengono somministrate ‘come tali’, ma devono subire un trattamento che ne modifichi in maniera sostanziale il tipo e la modalità d’azione.

Questa caratteristica dell’omeopatia è quella che ha probabilmente prodotto le maggiori resistenze da parte della scienza ufficiale. Dal punto di vista del chimico o del biologo non è difficile comprendere questa riluttanza, se pensiamo che la preparazione dei farmaci omeopatici è fondata sul principio dell’estrema diluizione delle sostanze usate come base: la sostanza originaria viene diluita miliardi di miliardi di volte, tanto che in gran parte parte dei rimedi omeopatici viene superato il limite del ‘numero di Avogadro’, corrispondente all’incirca ad una diluizione di 1:1024 , oltre il quale non è possibile rinvenire nella soluzione nemmeno una molecola della sostanza originaria. Da qui ad affermare che l’omeopatia ‘non può’ funzionare, rifiutandosi di indagarne i risultati, come fanno molti dei suoi detrattori, ovviamente ce ne corre, a meno di non ragionare come il Palomar di Italo Calvino, che affermava che: “Il modello è per definizione quello in cui non c’è niente da cambiare, quello che funziona alla perfezione; mentre la realtà vediamo bene che non funziona e che si spappola da tutte le parti; dunque non resta che costringerla a prendere le forme del modello, con le buone o con le cattive…” (Calvino, I., Palomar, Mondadori, Milano1990, pag.105).

Le scale di diluizione

Per indicare il tipo ed il grado di diluizione si usano dunque diverse scale, identificate dalla sigla corrispondente. Le più diffuse sono la scala decimale (‘D’ o ‘X’), la centesimale hahnemaniana (‘CH’), la centesimale korsakoviana (‘K’) e la cinquantamillesimale (‘LM’). La materia di partenza è rappresentata dalla tintura madre per i vegetali ed animali, e dalla terza triturazione per i metalli; quindi si procede come segue:

per la scala decimale (‘D’ o ‘X’), si diluisce una parte del materiale di partenza in nove parti di solvente (una soluzione variabile di acqua e alcool). Si ottiene così la prima diluizione decimale. Una parte di questa preparazione viene a sua volta diluita in dieci parti di solvente, per ottenere la seconda decimale, e così via, fino alla diluizione desiderata: 5, 6, 30, 10.000 o più. In pratica, il numero che precede la ‘D’ o la ‘X’ indica quindi il numero degli zeri della cifra che rappresenta la diluizione. Una ‘5 D’ è diluita 1/100.000, ovvero 1/105; una ‘30 D’, 1/1030, e così via.

Le altre scale si basano su sistemi simili, con alcune differenze: nella scala centesimale hahnemaniana (CH) ogni preparazione è diluita in cento parti di solvente; ne consegue che il grado esatto di diluizione è rappresentato da un numero di zeri doppio della cifra che la indica: una 5 CH è diluita 1/1010 volte; una 200 CH 1/10400 , e così via. La scala centesimale di Korsakoff (K) è basata sullo stesso criterio, con la differenza che , a differenza che nella precedente, si utilizza un unico contenitore per tutti i differenti gradi di diluizione. Questo medico al seguito dell’esercito russo aveva infatti apportato questa modifica al metodo originario perché si trovava nella necessità di preparare in fretta i rimedi per i soldati feriti e traumatizzati, e non disponeva del grande numero di contenitori necessari alla preparazione con il metodo tradizionale. Per finire, molti omeopati preferiscono usare la scala cinquantamillesimale (LM), che Hahnemann propose negli ultimi anni della sua vita, nella quale i rimedi sono diluiti approssimativamente nella proporzione di 1/50.000, anche qui secondo una successione progressivamente crescente dalla 1, alla 2, alla 3 LM, e via dicendo.

La dinamizzazione

Un aspetto fondamentale di tutte le modalità di preparazione dei farmaci omeopatici è quello della dinamizzazione. In tutte le modalità di diluizione il rimedio ad ogni passaggio viene difatti dinamizzato, ovvero viene scosso energicamente, di solito cento volte.

A parità di concentrazione, il numero di succussioni varia quindi a seconda delle scale, variando il numero dei passaggi, e questo rende pressoché impossibile una comparazione tra le differenti modalità di preparazione del rimedio. Questa dinamizzazione è molto importante, e si attribuisce ad essa la capacità di permettere il passaggio dell’informazione dalla sostanza base alle diluizioni omeopatiche.

In qualche modo, se si ammette la realtà dell’omeopatia, questo passaggio deve difatti avvenire, dal momento che la sostanza base è spesso totalmente assente dalla preparazione omeopatica, e dato che il rimedio omeopatico esplica un effetto diverso da quello esercitato dalla stessa sostanza a dosi ponderali, ed anzi spesso rappresenta un antidoto di quest’ultima. Su questo passaggio possiamo però fare al momento soltanto delle ipotesi. Una possibile spiegazione potrebbe venire dagli sviluppi degli studi sulla ‘memoria dell’acqua’ compiuti a partire dagli anni Ottanta dall’equipe di un ricercatore francese, J. Benveniste, ma purtroppo le polemiche e le dispute che sono seguite a questi lavori rappresentano una delle pagine meno chiare e trasparenti della scienza contemporanea.

Nonostante molti ricercatori stiano accumulando prove in questa direzione,  non è, quindi, ancora possibile definire in una maniera accettata dall’intera comunità scientifica la modalità di funzionamento dell’omeopatia.

Materie mediche e Repertori

Materie mediche e Repertori Materie mediche e RepertoriA partire dai lavori e delle indicazioni di Hahnemann è stata sviluppata una vasta e dettagliata letteratura sulle caratteristiche e gli effetti di numerosi rimedi. A questo scopo si utilizzano sia le eventuali informazioni provenienti dalla tossicologia sull’azione delle sostanze allo stato grezzo, e sia, soprattutto, le osservazioni fornite dalle sperimentazioni dei farmaci diluiti, che continuano ad essere eseguite in base alle regole ed alle modalità precisate dallo stesso Hahnemann nell’Organon. Un’ulteriore importante fonte di informazioni proviene inoltre dall’esperienza clinica dei medici omeopatici, che consente di precisare e caratterizzare ulteriormente, in base ai risultati positivi ottenuti, lo spettro di azione di ogni rimedio, e le caratteristiche generali degli individui maggiormente sensibili a ciascuno di essi.

Tutte queste informazioni sono, quind,i raccolte in due tipi di pubblicazioni:

da un lato le Materie Mediche, la prima delle quali venne compilata dallo stesso Hahnemann, ove a livello di ciascun rimedio sono elencati tutti i sintomi corrispondenti. Nelle cosiddette ‘materie mediche pure’, come quella di Allen, si utilizzano esclusivamente i sintomi provenienti dalla sperimentazioni; altri autori hanno variamente utilizzato le varie fonti di informazioni, integrandole con la loro esperienza clinica, compilando elenchi più o meno particolareggiati che vanno da semplici prontuari a lunghe e dettagliate liste in più volumi.

Gli stessi od altri autori hanno però organizzato il materiale a disposizione anche in un’altra forma, quella dei cosiddetti Repertori. In questi ultimi sono i sintomi ad essere ordinati in maniera razionale e sistematica, ed accanto a ciascuno di essi sono elencati i rimedi corrispondenti. Si tratta di lavori molto lunghi e complessi, ai quali spesso gli autori hanno lavorato per tutto l’arco della loro vita. Il più noto è quello di Kent (1849-1916), il medico americano che, dopo il fondatore, ha probabilmente più contribuito allo sviluppo ed al perfezionamento della medicina omeopatica.

Ed infine, l’ultima frontiera aperta per l’omeopatia è stata quella dell’utilizzo degli strumenti informatici. La flessibilità, la velocità e la grande capacità di immagazzinare dati dei computers ha infatti reso possibile ad ogni medico di accedere rapidamente e di orientarsi nella grande mole di informazioni prodotte finora nel mondo omeopatico. Tutti i repertori esistenti sono così stati riuniti in un ‘super-repertorio’, del quale esistono due versioni principali, all’inizio sviluppate rispettivamente per PC e per Mac, che vengono continuamente revisionate ed arricchite. I nuovi software per l’omeopatia consentono inoltre di consultare e di ‘navigare’ all’interno della maggior anche delle materie mediche, e comprendono anche dei ‘sistemi esperti’ in grado di aiutare il medico nella scelta del rimedio. Naturalmente l’esperienza e la capacità di giudizio di quest’ultimo non possono – e probabilmente non potranno mai – essere sostituite dalla potenza di calcolo delle macchine, ma queste sono certamente in grado, se correttamente utilizzate, di ampliarne sensibilmente le capacità.

Altre scuole omeopatiche: le omeopatie

Come in ogni famiglia che si rispetti, non tutti gli omeopati hanno scelto di seguire integralmente l’insegnamento del ‘capostipite’ Hahnemann. Sono quindi sorte negli ultimi anni numerose scuole di medicina omeopatica, che hanno più o meno modificato la teoria originaria, soprattutto per avvicinarla ai principi della medicina ufficiale.
Poiché la differenza più appariscente tra queste scuole e quella ortodossa è nel numero di rimedi prescritti ad ogni consultazione, è questo il criterio con cui di solito li si distingue.
Gli omeopati che seguono rigorosamente le indicazioni di Hahnemann vengono così detti unicisti, poiché prescrivono un solo rimedio alla volta, in unica somministrazione o in diverse dinamizzazioni successive, cambiandolo solo quando sono sicuri che non ha agito o che ha esaurito il suo effetto. Tra gli altri indirizzi ci sono:

  • i pluralisti, che prescrivono una combinazione di due, tre o più rimedi. Ritorna così in parte, pur non essendo così esasperata come nella medicina tecnico-scientifica, l’attitudine a smembrare l’integrità psicofisica dell’individuo secondo la multiformità della sua espressione sintomatologica.
  • i complessisti, che prescrivono combinazioni di rimedi già predisposti dall’industria farmaceutica per agire su determinati ‘sintomi’. Tranne che per la diluizione dei farmaci questa scuola assomiglia quindi più alla medicina ufficiale che a quella omeopatica, della quale ha perso ogni caratteristica.

Al di là del tipo e numero di farmaci prescritti, è quindi evidente che la differenza sostanziale tra le varie scuole consiste nell’atteggiamento generale verso la malattia e chi ne è colpito.
In generale, queste ‘altre’ omeopatie non possono vedere questo evento come la manifestazione esteriore di un disagio profondo che ha colpito il centro dell’individuo – che lo si chiami forza vitale o in altro modo – la cui espressione sintomatologica ha un senso unitario che l’omeopatia unicista si sforza di comprendere e curare attraverso l’azione dei rimedi.

La prescrizione contemporanea di più rimedi, prevista da queste ‘altre’ scuole, inoltre, da un lato semplifica  la prescrizione, ma dall’altro non permette ai rimedi ben scelti di esplicare in pieno la loro azione terapeutica, e quindi non può essere utilizzata per curare anche quelle malattie gravi, che, con prudenza, gli omeopati unicisti più esperti sono in grado di affrontare.

Bibliografia

  • Bellavite, P., e Signorini, A., Fondamenti teorici e sperimentali della medicina omeopatica, IPSA editore, Palermo 1992.
  • Castellini, M., Omeopatia, la via interiore alla guarigione, Mondadori, Milano 2000.
  • Hahnemann, C.F.S., Organon dell’arte del guarire, VI ed. (1842), tr. it. Red/studio redazionale, Como 1985.
  • Vithoulkas, G., La scienza dell’omeopatia, (1980), tr. it Edizioni Libreria Cortina, Verona 1986.

Alcune domande e risposte sulla medicina omeopatica

Per quali malattie è indicata l’omeopatia?

In omeopatia non ci sono malattie ma singoli malati. Capita dunque che lo stesso medico non sappia veramente fino a che punto può aiutare il suo paziente. Tutto dipende dalla riuscita nella scelta del rimedio.
Ovviamente, l’esperienza del medico aiuta a formulare una prognosi, ma può capitare di non riuscire a guarire un sintomo apparentemente banale, e di ottenere invece un risultato ‘miracoloso’ su una malattia cronica e gravemente invalidante.
E’ comunque più probabile che il medico possa esprimere un parere alla fine della consultazione, quando potrà ritenere di aver individuato il farmaco giusto per la persona che ha di fronte. Nella stragrande maggioranza dei casi tutto dipende dalla riuscita di questa operazione.
Esistono ovviamente anche dei limiti fisiologici, costituiti dalla debolezza dell’organismo o dall’irreversibilità della malattia, anche se non sempre questa condizione corrisponde alla gravità della sintomatologia. Hahnemann stesso ha comunque posto un limite all’omeopatia nelle malattie ‘di spettanza della chirurgia’ (par. 29 dell’Organon), anche se bisogna vedere cosa si intende esattamente con questa affermazione. Pazienti con ernie discali, noduli tiroidei, polipi nasali, fibromi uterini e cisti ovariche, ad esempio, possono rispondere anche molto bene alla terapia omeopatica.

Che cos’è il ‘Simillimum’ ?

Il farmaco che corrisponde esattamente alle condizioni psicofisiche ed ‘esistenziali’ del paziente è detto Simillimum. Se si paragona il processo di scelta del rimedio a quello di centrare un bersaglio, si può dire che il Simillimum è il centro esatto.
Anche le sostanze vicine al centro possono però dare un buon effetto terapeutico, e spesso ci si deve accontentare di individuare una di queste, soprattutto nella prima consultazione. Ma quando riesce davvero a trovare un ‘Simillimum’, il medico si rende ben presto conto della profondità, della complessità e della stabilità del cambiamento indotto. Questo spesso coincide con una vera e propria riorganizzazione positiva dell’esistenza della persona che ne beneficia, che ora vorrà realizzare i propri talenti inespressi, scegliere con cura amici e compagni, realizzarsi nel lavoro, e riuscirà ad accettare ciò che è ineludibile con rinnovata energia e serenità.
Le scuole omeopatiche non sono tutte d’accordo sulla durata dello stato corrispondente al Simillimum: per alcune è sempre lo stesso, per tutta la vita, e dunque per quel paziente diventa una specie di ‘panacea’ da utilizzare, una voltra individuato, per qualunque disturbo che lo affligge; per altre questo è vero solo per un periodo di tempo, anche molto lungo, ma ad un certo punto può cambiare.
Quest’ultima interpretazione sembra più vicina ad un’immagine proposta dallo stesso Hahnemann, che considerava il processo di guarigione come una serie di ‘tappe’ nelle quali si ‘toglie’ uno strato alla volta, esattamente come quando si sfoglia una cipolla.

Che cosa sono i miasmi?

Con l’immagine del bulbo della cipolla Hahnemann si riferiva, in effetti, soprattutto a delle predisposizioni patologiche alla malattia cronica, che egli definiva miasmi.
Su quest’aspetto della sua teoria non c’è però completo accordo nel mondo omeopatico. Alcuni medici semplicemente lo ignorano; altri conservano la sua classificazione in tre miasmi fondamentali, lo psorico, il sifilitico ed il sicosico, altri ne aggiungono altri, come quello tubercolinico, ed ultimamente anche quello carcinosinico.
La teoria è comunque complessa, perché Hahnemann non si riferiva ad una tendenza ad ammalarsi di queste specifiche malattie, ma vedeva nei miasmi una predisposizione patologica dell’individuo, che può essere riconosciuta sia da deteminate caratteristiche fisiche e psicologiche, come anche dal che dal fatto che le malattie corrispondenti compaiono nella storia personale o famigliare del paziente. Questa predisposizione una volta acquisita può però esprimersi in diverse maniere, dando la propria ‘impronta’ a qualunque patologia.
Altri autori hanno quindi esteso il concetto di miasma, intendendolo più genericamente come una predisposizione alla malattia che può determinarsi in molteplici modi; essi postulano dunque, oltre a quelli indicati da Hahnemann, anche un miasma canceroso, uno per una grave influenza, uno per l’AIDS, e così via.

La medicina omeopatica può avere affetti collaterali?

E’ importante sottolineare che la medicina omeopatica, per definizione, non può avere ‘effetti collaterali’. Questi effetti negativi delle medicine chimiche dipendono infatti dal fatto che esse vengono scelte per agire solo su di una parte di quella che in realtà è una totalità integrata. Ad esempio, un farmaco antiinfiammatorio deve agire su un’articolazione dolente; su di questa ottiene il risultato voluto, ma esso interagisce anche su altri settori dell’organismo, come la mucosa dello stomaco. A quest’ultimo livello la sua azione non era però richiesta, e dunque risulta tossica.
Questi effetti negativi rappresentano quindi le conseguenze indesiderate di ogni terapia che non prenda in considerazione la totalità integrata dell’organismo. Per questo la medicina tecnico-scientifica possa cercare di ridurli, essi non possono mai essere del tutto eliminati. E difatti negli ambienti medici circola una battuta:
‘i farmaci si dividono in due categorie: quelli che non fanno nulla, si possono prendere tranquillamente; quelli che fanno bene, devono essere usati con cautela perché hanno anche un effetto collaterale…’.
la modalità di azione dei farmaci omeopatici è invece profondamente diversa; in un modo che non conosciamo ancora esattamente, essi agiscono a livello dell’unità centrale dell’individuo, si chiami forza vitale o in altro modo, come un’informazione in grado di correggere lo stato di ‘disagio’ responsabile della malattia.
Se questo intervento ha successo, è dunque l’organismo stesso che, ‘convinto’ dal farmaco a risanarsi, attiva il processo di guarigione, allo stesso modo in cui normalmente si attiva la procedura di riparazione di una ferita.
Questo processo è quindi privo di effetti collaterali, perché ha le stesse caratteristiche della guarigione naturale e spontanea.

E’ vero che può esserci un aggravamento all’inizio della terapia omeopatica?

Può accadere che durante il trattamento con un farmaco ben indicato, di solito all’inizio, l’organismo risponda con una accentuazione dell’intensità dei sintomi. Questa condizione dura, in genere, poche ore o pochi giorni e non è mai pericolosa per il paziente, dato che consiste soprattutto in un aumento della sua sensibilità, per cui ad esempio un dolore viene sentito con maggiore acuzie. Inoltre, quasi sempre coincide con un miglioramento delle sue condizioni generali, e spesso anche dell’umore.
Se c’e un vero aggravamento omeopatico, si può quindi essere certi che seguirà una reazione positiva al rimedio.
Due precisazioni sono importanti al riguardo:

  • La prima, è che l’agravamento omeopatico è molto diverso da un ‘effetto collaterale’. Nell’aggravamento omeopatico non c’è effetto tossico, e l’ accentuazione sintomatologica serve a ‘sbloccare’ la stasi della forza vitale, come quando non ci accorgiamo di un segnale di allarme, ed allora è necessario che questo si metta a suonare più forte, per essere ascoltato.
  • La seconda caratteristica, che ritengo utile precisare, è che questo aggravamento non è ‘senza senso’. Molto spesso si tratta di un aumento di sensibilità a determinate cause patogene, le stesse che hanno concorso a produrre, da sole o con altre, la malattia. Solo che ora le si tollera ancora meno, si tratti del freddo, di errori alimentari, o della suocera…

Questa considerazione è importante perché, se non vi si fa attenzione, si rischia di utilizzare l’omeopatia per nascondere il significato del sintomo, ed il senso della malattia.
Ad esempio, può capitare di trovarsi in una conversazione di questo tipo:
‘Dottore, quel farmaco che mi ha dato mi ha fatto aumentare il mal di stomaco’ –
– ‘Certo, è possibile, potrebbe trattarsi di un aggravamento…Ma per caso non può esserci stata un’altra causa? Cosa ha fatto in questi giorni? –
– Ma, veramente nulla, mi sembra… Ah già, non sarà che sono stato in tribunale per discutere del mio divorzio? …

E’ vero che si devono usare delle precauzioni particolari quando si prendono i rimedi, ad esempio non fumare e non assumere determinati alimenti?

L’informazione contenuta nel rimedio è estremamente delicata, e può quindi essere cancellata da altri segnali troppo ‘forti’, come il suono di un flauto può essere sovrastato da quello di un martello pneumatico. Oggi si tende a limitare meno che in passato l’alimentazione e lo stile di vita durante le cure omeopatiche, dal momento che il numero di sostanze tossiche ed inquinanti è talmente alto che siamo costretti ad imparare a conviverci. Alcune regole sono, comunque, indispensabili:
– il rimedio va assunto sempre lontano dai pasti, almeno un’ora prima, e un’ora e mezzo dopo.

– Va anche preso lontano dal dentifricio, se questo contiene menta, e lontano da sostanze molto aromatiche come cipolla, aglio, liquirizia, ecc.

– Il paziente non dovrebbe avere addosso profumi forti, e non dovrebbero esservene nella stanza.

– i rimedi per precauzione non andrebbero toccati con le mani, e si dovrebbero usare gli appositi dosatori presenti in tutte le confezioni.
– Per quanto concerne l’intero periodo della cura e le abitudini alimentari, è ovvio che le normali regole igieniche giovano anche alla cura omeopatica. Alcune sostanze sembrano però antidotare specificatamente i rimedi omeopatici, e dunque andrebbero eliminate, salvo rare eccezioni, durante le cure lunghe. Tra queste il caffè (si può usare il tè o il decaffeinato); la canfora ed il mentolo (ad esempio per inalazioni). Andrebbero limitate in genere tutte le sostanze molto aromatiche, ad esempio aglio e cipolla crudi, ed altre spezie. Come in tutte le terapie, è ovviamente consigliabile limitare fortemente o abolire sigarette e bevande alcoliche, ma, dal punto di vista dell’effetto antidotante sui rimedi omeopatici, non sembra, da studi recenti, che queste sostanze ne possiedano in particolare.
-Accortezze simili andrebbero adoperate nella conservazione dei rimedi, che dovrebbe avvenire in luoghi non esposti ai raggi solari, al freddo e al caldo eccessivi, all’umidità, a forti odori, e lontano dalle onde elettromagnetiche di computers e telefoni cellulari.

Si possono usare contemporaneamente le medicine chimiche e quelle omeopatiche?

Anche su questo oggi si tende ad essere meno rigidi che in passato. E’ vero che i farmaci chimici diminuiscono l’effetto di quelli omeopatici, ma non li boccano del tutto. E’ del resto impossibile togliere bruscamente l’insulina a un diabetico, o gli antiipertensivi a un cardiopatico. In genere quindi si lasciano al paziente i farmaci che prende, se gli sono utili, e si inizia una cura tenendo presente questo fatto, ad esempio utilizzando i rimedi omeopatici a potenze più basse, e ripetendone più spesso l’assunzione. L’obiettivo è quello di ridurre al massimo o di eliminare i farmaci chimici, ma naturalmente questo è possibile solo quando non servono più.
Diverso è il discorso sull’uso indiscriminato di farmaci, ad esempio antidolorifici o antibiotici, che molte persone assumono al primo manifestarsi di una cefalea o di un’influenza. Questo comportamento è disapprovato dalla stessa medicina ufficiale, ed a maggior ragione va evitato durante le cure omeopatiche.